Bomarzo si situa nel cuore della Tuscia tra le estreme pendici nord-orientali dei monti Cimini e l’ampia vallata del fiume Tevere, che segna il confine con la vicina Umbria; di particolare interesse, oltre alla Chiesa di Santa Maria Assunta e quella di Santa Maria della Valle, vi è il Palazzo Orsini, un compendio di costruzioni, risalenti al periodo che va dal 1525 al 1583, che con la sua struttura articolata domina il paese. All’interno, assieme alla sede del Municipio, spicca il bel salone affrescato da pittori della scuola di Pietro da Cortona.

La chiesa del Cristo Risorto (situata nella parte nuova del paese) presenta un ciclo di pitture contemporanee (olio su te­la) raffigurante la Via Crucis, opera del viterbese Felice Ludovisi mentre il museo delle sculture, in un magazzino del palazzo Orsini, accoglie oltre cento sculture iperspaziali di Attilio Pierelli, realizzate dal 1960 ad oggi, fra cui l’Ipercubo, la Superficie a cuspide T.E.S. T., l’opera che viene assegnata ogni tre anni all’autore della più importante ricerca dell’astrofisica al “Marcel Grossman Meeting“.

Scrive Bruno Zevi del borgo di Bomarzo: «A Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l’osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico e edonistico (…) »

Da visitare, a poca distanza, è il Parco dei Mostri, complesso monumentale situato alle pendici di un vero e proprio anfiteatro naturale. L’architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini progettò e sovraintese alla costruzione il parco elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino. L’Orsini chiamò il parco Sacro Bosco e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non l’omonima concubina del papa Alessandro VI).

Le realizzazioni plastiche del complesso bomarzesco rivelano la predilezione dell’Orsini per la forma aperta, in cui l’occhio incontra visuali sempre apparentemente fortuite e confermano la sua passione per espres­sioni artistiche di diversa provenienza, inusitate per la cultura italiana del Cinque­cento, che si collocano in una posizione deci­samente avanzata verso il Barocco. Fra le manifestazioni figurative, che fanno del Sacro Bosco un unicum tipolo­gico, quelle che impegnano maggiormente la sensibilità del visitatore sono: il Tempietto (di stile dorico, a forma ottagonale, dedicato alla moglie Giulia Farnese), il Mascherone (il mostro più emblematico con naso rincagnato, occhi vuoti ed enorme bocca spalancata, nel cui interno è ricavata una stanza), l‘Elefante in battaglia (che rivela uno spiccato riferimento all’arte orientale), il Drago in lotta coi veltri (evidenti gli influssi asiatici), la Donna opulenta (dalle enormi proporzioni, che sorregge un vaso sulla testa), Nettuno (che appoggia il dorso nudo a ridosso di muro ciclopico), la Casetta inclinata (si avverte il compiacimento per il disprezzo dei limiti della regola), la Tartaruga (gigantesca scultura sormontata da un’armoniosa figura musicale), il Gigante (significative le forzature anatomiche metriche), la Maschera demoniaca (sorregge il globo decorato dai simboli araldici degli Orsini).